UIL Scuola
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Estratto dell’intervento di Pino Turi
all’assemblea di Bari – 8 novembre 2018

Far ripartire la trattativa, fa ripartire il Paese

L’accordo del 30 novembre 2016 è pietra angolare, presupposto logico, giuridico e politico alla base dei contratti rinnovati. Con quell’accordo abbiamo superato una partita difficile – quella del contenimento della spesa, con il blocco di contratti dei pubblici dipendenti - iniziata con il Governo Berlusconi, poi Monti, Letta e conclusa con Renzi.

Un blocco che si è protratto per poco meno di un decennio e ha pesantemente inciso, non solo sui salari reali, ma anche sul funzionamento della macchina pubblica, con il recondito fine di privatizzarla. Si è scelto di avere sempre meno dipendenti, pagati il minimo possibile, e sempre più consulenze, affidate discrezionalmente.

Certo, il contratto porta con sé una serie di questioni irrisolte:

1) aumenti salariali insufficienti e lontani da quelli dei colleghi europei;

2) la necessità di un rafforzamento dello strumento contrattuale per meglio definire lo status lavorativo di docenti; Ata e Dirigenti;

3) l’urgenza della riaffermazione del modello di scuola che deve essere statale, basato sull’autogoverno, sede di autonomia ed indipendenza che sostanzia la comunità educante.

La UIL, come sempre forza laica solida e responsabile, farà da argine ad ogni tentativo di privatizzazione e di regionalizzazione del sistema scolastico.

Il Paese è indebitato e sembra di essere in presenza di una smobilitazione dell’industria manifatturiera e per certi versi, dei servizi pubblici.

Privato è bello, pubblico è brutto: è il ritornello di questi anni.

Falso paradigma che lambisce anche le funzioni dello Stato come l’istruzione, su cui sembra lanciata un’Opa da parte delle regioni cosiddette ricche del Nord che vorrebbero le risorse e le competenze, salvo poi, accorgersi – in momenti difficili e cruciali – che tutti hanno bisogno della solidarietà dello Stato. Non si possono svendere beni essenziali, né rivendicarne la titolarità solo quando proficua.

Un paese è tale se è solidale, ed ognuno ha bisogno del supporto politico ed economico e culturale dello Stato. È questo il senso profondo che sottende il ruolo del nostro sistema di istruzione nazionale: la scuola ha unito l’Italia.

Certamente non possiamo vivere neanche noi di rendita per aver fatto un buon contratto. Servirà un impegno aggiuntivo, per ampliare ancora di più il dialogo con i lavoratori.

Siamo pronti per un confronto di merito con il Governo, per neutralizzare i danni prodotti da una politica di scelte unilaterali, indotte da modelli neo-liberisti che stanno dividendo la società dal punto di vista economico, e peggio, dal punto vista sociale.

Anche qui, la scuola è un baluardo di democrazia e partecipazione.

Occorre superare la politica della disintermediazione, per tornare, attraverso la contrattazione, a contare e condividere le scelte di natura sindacale e sociale che è possibile realizzare solo con una rinnovata volontà del sindacalismo confederale.

La democrazia incrinata di Brunetta ha determinato una lunga fase declinante che, grazie al rinnovo del contratto abbiamo invertito, e dobbiamo continuare a reindirizzare verso logiche democratiche e di partecipazione.

Serve una elaborazione delle piattaforme, in grado di radicare i risultati dell’attuale contratto e gestire il rinnovo per il prossimo triennio.

Si tratta di un contratto che dovrà trovare le risorse e le idee per ammodernare il Paese e ridare ai lavoratori della scuola la dignità che tante riforme sbagliate gli hanno sottratto.

Dobbiamo ricordare, tra i tanti effetti positivi che il contratto di lavoro ha determinato, uno in particolare: la possibilità di modificare anche leggi e regolamenti.

Lo strumento contrattuale diventa quindi uno strumento regolativo per eccellenza, duttile e flessibile, per rispondere ai veloci cambiamenti in atto. All’unilateralismo della legge si contrappone, ora, il dualismo del contratto.

Occorre tornare a trattare il merito delle tante questioni ancora aperte, a partire dal contratto sulla dirigenza scolastica che deve (ri)definire il profilo professionale, in coerenza con l’autonomia delle scuole, ognuna delle quali è comunità di rilevanza costituzionale.

La scuola deve fare ancora i conti con una delle riforme (la legge 107) tra le più controverse della storia repubblicana, la cui impostazione dirigista deve essere totalmente ricondotta nell’alveo di un modello condiviso e concertato, per consentire l’autogoverno della scuola e garantire una posizione di libertà ed indipendenza dalle forze politiche e di Governo.

Serve una scuola che poggi su una cultura ‘borghese’ e liberale, intesa come ricerca di aspettative in grado di intercettare quell’ascensore sociale che ha fatto della scuola, il suo fattore di miglioramento e sviluppo socio economico, in cui gli studenti trovano la strada per esaltare il proprio talento. Occorre isolare i luoghi comuni, le omologazioni e pensare ad una società che si evolve sulle diversità e che non può essere pianificata con una scuola che indirizzi solo al lavoro esistente. Lo studio è esso stesso lavoro. E’ emancipazione e futuro.

Negli anni ’80 il Sindacato, con l’accordo sulle 150 ore, portava gli operai a scuola. Ora le ideologie neo liberiste stanno allucinando una classe dirigente incerta, imbambolata da una società in crisi, che si illude di superla, portando gli studenti in fabbrica.

Arriviamo a questo appuntamento con un situazione economica e sociale molto degradata.

Le prime mosse del governo gialloverde rivelano tratti di forte problematicità, le manovre in deficit di natura keynesiana, verso le quali il sindacato non mostra alcun pregiudizio, anzi sono viste con favore e rivendicate da tempo, mostrano però il limite della scarsa e divergente visione dei contraenti il contratto di governo e puntano essenzialmente al contingente, senza una visione ed una prospettiva di più lungo termine.

Recentemente stanno emergendo profonde divisioni all’interno della stessa compagine di governo dove iniziano a prevalere i diktat leghisti.

Le esternazioni del Ministro Bussetti, in tema di maggiore autonomia in ambito scolastico da concedere alle regioni - Emilia Romagna, Friuli e Lombardia - riportano alla mente le posizioni dei ministri Tremonti – Gelmini (nel Governo Berlusconi) che quei propositi di secessione tentarono di imporre all’inizio del terzo millennio.

Un Governo che volle perseguire la via della devolution, approvò anche una legge di modifica della Costituzione che i cittadini bocciarono in un referendum.
I cittadini Italiani amano la loro Costituzione che, per la scuola è particolarmente attenta in termini di garanzia di libertà ed indipendenza dagli Esecutivi e da ogni forma di condizionamento politico se, è vero come è vero che, nella fiducia degli italiani, è al secondo posto dopo le Forze dell’Ordine. L’esito dei referendum (anche quello del 4 dicembre) non è bastato, evidentemente, a fare comprendere l’importanza della Costituzione per i cittadini italiani.

Continuamente ignorata, la centralità della Costituzione italiana è l’unico punto di vera unione del nostro Paese.

Come sempre, ripartiamo dalle divisioni e dalle non-condivisioni. Al sindacato spetta innanzitutto un compito di riunificazione e di riaggregazione dell’intero Paese, sul terreno dei bisogni concreti dei lavoratori che oltre ai bisogni immediati e contingenti, vorrebbero poter contare su una prospettiva di sviluppo e di sicurezza sociale che il contratto di lavoro può contribuire a realizzare, guardando al merito delle tante questioni che interessano i lavoratori e non agli schieramenti.

Ora il sindacato confederale può contribuire a pacificare il Paese e il lavoro pubblico può rappresentare quella spinta in più, realizzata dalla parte sana del Paese. Vediamo di farlo attraverso il negoziato per rinnovare i contratti di lavoro.


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