Incompatibilità dipendenti scuola
La nota dell’USR Sicilia. |
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m_pi.AOODRSI.REGISTRO UFFICIALE.U.0021198.31-08-2020 Ministero dell’Istruzione Ai Dirigenti degli Istituti scolastici Oggetto: Incompatibilità dipendenti pubblici. Specificità del comparto scuola. Circolare applicativa. Con la presente nota ci si propone di fornire linee guida in grado di supportare i dirigenti scolastici che si trovano, in qualità di datore di lavoro pubblico ad autorizzare o a negare l’esercizio di attività ulteriori a quella istituzionale in applicazione delle norme che regolano la materia. La disciplina generale è contenuta nel Testo unico sul pubblico impiego di cui al Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165: secondo l’art. 53, secondo comma, “le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi non compresi nei compiti o doveri d’ufficio che non siano espressamente previsti o disciplinati dalla legge o altre fonti normative o che non siano espressamente autorizzati”. Il legislatore fissa, dunque, la regola della incompatibilità dello svolgimento di attività extra-istituzionali con l’assunzione di un impiego pubblico. Sullo sfondo il dovere di esclusività delle prestazioni intestate al pubblico dipendente al quale la Costituzione chiede di dedicare interamente all’Ufficio le proprie energie lavorative senza disperderle in attività esterne ed ulteriori, a garanzia del buon andamento e dell’imparzialità dell’Amministrazione (art. 98 Cost.). La conseguenza è che, di regola, ogni incarico extra-istituzionale deve considerarsi eccezionale rispetto allo status di pubblico dipendente. Rientra in tale categoria anche il personale scolastico (docente, educativo e ATA) essendo gli Istituti scolastici di ogni ordine e grado “Pubblica Amministrazione” a tutti gli effetti di legge (art. 1, comma 2, d.lgs. 165/2001). Tuttavia è bene precisare sin d’ora che la regola dell’incompatibilità risulta attenuata in forza della previsione per cui il dipendente pubblico, previa autorizzazione da parte del datore di lavoro, può essere ammesso allo svolgimento di incarichi ulteriori che all’esito di apposita istruttoria non risultino generare una situazione di conflitto di interesse rispetto all’attività svolta in via principale (art. 53, comma 7, d.lgs. 165 cit.). Accanto a questa tipologia di incompatibilità, cd. “relativa” o “condizionata” alla preventiva autorizzazione, il legislatore individua poi una serie di incarichi che possono essere svolti senza necessità di acquisire il preventivo nulla osta da parte del datore di lavoro. Si tratta delle attività elencate dal comma 6 dell’art. 53, cd. “liberalizzate” in quanto esulano dal regime autorizzatorio essendo espressione di libertà costituzionalmente garantite. Ipotesi di incompatibilità assoluta La regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs. 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro. La disposizione del Testo unico istruzione ricalca le ipotesi descritte dall’art. 60, d.P.R. n. 3/1957 la cui integrazione determina la diffida da parte del datore di lavoro ad interrompere, entro 15 giorni, l’attività incompatibile a pena di decadenza dal lavoro pubblico. Costituiscono incompatibilità di tipo assoluto: 1. gli incarichi connotati da “abitualità” e “professionalità”, intese quali non occasionalità, e continuità nello svolgimento della professione, anche se esercitata in maniera non esclusiva; 2. tutti gli incarichi suscettibili di entrare in conflitto di interesse, anche solo in via potenziale, con lo svolgimento dell’attività ordinaria e di compromettere il buon andamento dell’ufficio; 3. l’assunzione di cariche in società costituite a scopo di lucro, con esclusione delle società cooperative. Con riferimento alla prima categoria, presenta il carattere della professionalità anche l’impiego che, sebbene singolarmente e isolatamente non dia luogo ad una situazione di incompatibilità assoluta, considerato complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configura, invece, un impegno continuativo, tenuto conto della natura dell’incarico e della remunerazione previsti. In questo senso è stata presa in considerazione l’attività di amministratore di condomini, la quale, sebbene non rientri formalmente tra quelle espressamente vietate al personale docente dall’art. 508, d.lgs. 297/1994, non può legittimamente essere autorizzata allorquando risulti prestata in modo continuativo e non occasionale1. La valutazione circa la professionalità svolta è affidata all’amministrazione di appartenenza investita della richiesta di autorizzazione da parte del dipendente, richiesta che può essere accolta solo quando l’impegno risulti limitato alla cura dei propri interessi. Tale ipotesi ricorre quando il soggetto ricopra il ruolo di amministratore del condominio al cui interno sia ubicato l’appartamento di proprietà.2 Dalla prassi applicativa si desume l’ulteriore regola per cui l’incarico aggiuntivo rispetto all’attività ordinaria non può essere legittimamente autorizzato nel caso in cui il suo svolgimento presupponga un inquadramento nell’ambito della struttura, con conseguente esclusione di forme di collaborazione sporadiche e occasionali. Da tale circostanza il giudice amministrativo ha desunto la “professionalità” dell’attività di istruttore di scuola guida ancorché prestata a titolo gratuito sancendone l’incompatibilità rispetto al servizio prestato in qualità di docente. Tale attività costituisce, infatti, vera e propria “professione” dal momento che il rilascio della relativa licenza presuppone l’inquadramento del soggetto nell’ambito dell’autoscuola 3. L’incompatibilità assoluta sussiste poi ogni qualvolta l’attività esercitata in via ulteriore rispetto a quella ordinaria si ponga, con questa, in conflitto di interessi. Tali situazioni, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico, non sono predeterminate in modo tassativo dal legislatore, ma possono essere rinvenute volta per volta in relazione a quegli incarichi che, per loro natura o per l’oggetto, sono suscettibili di arrecare pregiudizio, anche solo potenziale, all'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche. Ciò che conta è che il datore di lavoro, previamente informato dell’intenzione di assumere incarichi esterni, analizzi in concreto la possibile interferenza di questi con i compiti istituzionali del dipendente al fine di valutare la sussistenza del conflitto di interesse. L’obbligo di evitare l’insorgere di situazioni di conflitto di interesse a carico del dipendente pubblico costituisce altresì regola di condotta positivizzata all’interno del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici recato dal d.p.r. n. 62/2013 la cui violazione è fonte di responsabilità disciplinare (art. 16). Dalla lettura sistematica delle disposizioni del Codice si evincono una serie di situazioni sintomatiche della sussistenza, almeno in via potenziale, di un conflitto di interessi. In questo senso si considerano vietati gli incarichi svolti a favore di soggetti: - nei confronti dei quali l’amministrazione di appartenenza ha poteri autorizzatori, concessori o di rilascio di nulla osta, anche in forma tacita; - fornitori di beni e servizi per l’amministrazione allorquando a svolgere l’incarico sia il dipendente preposto all’individuazione del fornitore; - che intrattengano con l’amministrazione rapporti di natura economica o contrattuale; - verso i quali la struttura di assegnazione del dipendente svolga funzioni di controllo e vigilanza In generale possono considerarsi altresì vietati gli incarichi che per la loro natura ed oggetto sono suscettibili di recare nocumento all’immagine dell’amministrazione o che, sebbene rientranti nel novero delle attività liberalizzate, si pongano in concreto in una situazione di conflitto di interessi con i compiti istituzionali. Da ultimo la terza ipotesi di incompatibilità assoluta di cui all’art. 60, cit. è rappresentata dall’assunzione da parte del dipendente pubblico di cariche in società costituite a fine di lucro tranne che si tratti di cariche in società o enti per i quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Tale previsione fonda la propria ratio sull’opportunità di evitare le disfunzioni e gli inconvenienti che deriverebbero all'Amministrazione dal fatto che il proprio personale, anche rivestendo cariche sociali, si dedichi ad attività imprenditoriali, caratterizzate da un nesso tra lavoro, rischio e profitto. Il pericolo che la prescrizione legislativa mira a prevenire non si riscontra nel caso della partecipazione a società cooperativa caratterizzata dalla prevalenza (se non dalla esclusività in taluni casi) degli scopi mutualistici rispetto a quelli di guadagno (che ben possono coesistere). La conseguenza è l’esclusione delle società cooperative dal regime delle incompatibilità espressamente sancita dall’art. 61 del d.p.r. n. 3/57 (come novellato dall'art. 18 della l. n. 59 del 1992)4 In linea generale deve dirsi che l’incompatibilità in parola si ricollega ad una situazione specifica all’interno delle società lucrative che riguarda l’assunzione di cariche che, a seconda del tipo di società, presuppongono la spendita di poteri di rappresentanza nonché l’esercizio di funzioni di rappresentanza nonché l’esercizio di attività in nome e per conto della società stessa. Il Dipartimento della Funzione pubblica con circolare 18 luglio 1997, n. 6 ha chiarito, infatti, che la partecipazione in qualità di semplice socio (cioè senza attività e senza incarichi nella società) non dà luogo ad incompatibilità5. Così come la partecipazione a società agricole a conduzione familiare risulta compatibile salvo che, in concreto, sia ravvisata la continuità, non occasionalità o comunque la rilevanza in termini di intensità dell’impegno profuso nello svolgere l’attività d’impresa6 Anche per il personale della scuola vige la regola generale dell’incompatibilità tra lo status di pubblico impiegato e l’esercizio di attività extra istituzionale. Il riferimento normativo è al comma dieci dell’art. 508, d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 considerato nella parte in cui rinvia ai divieti ex art. 60, d.p.r. 3/1957. Accanto alle ipotesi di incompatibilità assoluta, la disciplina specifica dettata per il comparto scuola e, in particolare, per il personale docente aggiunge poi l’ipotesi dell’assunzione di lezioni private ad alunni dell’istituzione scolastica in cui si presta servizio. La legge, in forza del principio per cui nessun alunno può essere giudicato dal docente dal quale abbia ricevuto lezioni private, sancisce la nullità degli scrutini o delle prove d’esame svoltesi in violazione del predetto divieto (art. 508 commi 1 e 5, d.lgs. 297/1994). Il divieto è ribadito anche nell’ambito del CCNL del 16 novembre 2007 considerato nella parte in cui contempla, tra le prestazioni volte ad ampliare l’offerta formativa che possono essere svolte dal docente, le attività didattiche di recupero e quelle rivolte agli adulti escludendo espressamente dai destinatari dell’attività gli alunni delle proprie classi (art. 32). Diverso è il caso delle lezioni private impartite agli alunni frequentanti scuole diverse da quelle di servizio. Lo svolgimento di questa attività, infatti, è ammesso previa autorizzazione del dirigente scolastico, il quale abbia valutato la compatibilità con l’orario di insegnamento e al quale sia stato preventivamente comunicato il nome e la provenienza dell’alunno. Tale adempimento si concretizza in una vera e propria richiesta di autorizzazione soggetta al regime di cui all’art. 53, d.lgs. 165/01, con la conseguenza che la stessa si intende rilasciata una volta che sia decorso il termine per provvedere. Le lezioni impartite a studenti sono poi vietate in assoluto agli ispettori e ai capi d’istituto (comma 6). Il profilarsi di una situazione di incompatibilità assoluta ha come conseguenze, da un lato, la cessazione automatica del rapporto di lavoro qualora l’incompatibilità non venga rimossa entro 15 giorni dalla diffida, dall’altro la valutazione circa la sussistenza di profili di responsabilità disciplinare per violazione del dovere di esclusività. Secondo quanto previsto dall’art. 63, d.p.r. 3/1957, l’ottemperanza alla diffida, infatti, non esclude il venir meno della responsabilità disciplinare in presenza delle condizioni di legge 7. L’inottemperanza alla diffida determina la decadenza dalla nomina per mancata cessazione della situazione di incompatibilità e per l’effetto la risoluzione del contratto per venir meno di uno dei presupposti legittimanti la valida sottoscrizione dello stesso. Dal punto di vista delle conseguenze patrimoniali il configurarsi di un’ipotesi di incompatibilità assoluta comporta poi a carico del dipendente l’obbligo di versare il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte nel conto delle entrate del bilancio dell’amministrazione di appartenenza per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. Il mancato versamento è fonte di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti (art. 53, commi 7 e 7 bis, d.lgs. n. 165/2001). Procedimento autorizzatorio. Al di fuori dei casi di incompatibilità assoluta che, come visto, costituiscono un divieto inderogabile, il personale della scuola che assuma altro impiego è tenuto a darne notizia al dirigente scolastico. In prima battuta quest’ultimo è chiamato a verificare che l’incarico prospettato al suo dipendente non integri un divieto inderogabile (art. 60, d.p.r. 3/1957) né che, al contrario, si tratti attività che, per natura ed oggetto, non richieda un’autorizzazione in quanto liberalizzata (art. 53, comma 6, d.lgs. 165/2001). A questo punto il dirigente, in qualità di datore di lavoro, è tenuto ad avviare una vera e propria istruttoria volta a verificare in concreto la compatibilità dell’attività ulteriore con la funzione svolta nel comparto scuola nonché l’insussistenza del conflitto di interessi. Tale procedimento destinato a concludersi entro 30 giorni dalla comunicazione del dipendente interessato, può culminare nell’adozione di un provvedimento motivato di autorizzazione ovvero di diniego. Decorso il termine per provvedere, l’autorizzazione si intende accordata secondo quanto previsto dal comma 10 dell’art. 53, d.lgs. 165/2001. Il regime autorizzatorio sopra descritto è previsto al fine di vagliare l’effettiva compatibilità dell’attività extra lavorativa svolta con il corretto e puntuale adempimento della prestazione contrattualmente dovuta per evitare che il cumulo di incarichi arrechi un pregiudizio al buon andamento dell’amministrazione. Gli indici di valutazione sono rivolti a verificare: a) se l’espletamento dell’incarico possa ingenerare, anche in via solo ipotetica o potenziale, situazione di conflittualità con gli interessi facenti capo all’amministrazione e, quindi, con le funzioni assegnate sia al singolo dipendente che alla struttura di appartenenza; b) la compatibilità del nuovo impegno con i carichi di lavoro del dipendente e della struttura di appartenenza (che dovrà comunque non solo essere svolto fuori dall’orario di lavoro, ma pure compatibilmente con le esigenze di servizio), nonché con le mansioni e posizioni di responsabilità attribuite al dipendente, interpellando eventualmente a tal fine il responsabile dell’ufficio di appartenenza il quale dovrà esprimere il proprio parere o assenso circa la concessione dell’autorizzazione richiesta; c) la occasionalità o saltuarietà, ovvero non prevalenza della prestazione sull’impegno derivante dall’orario di lavoro; d) la materiale compatibilità dello specifico incarico con il rapporto di impiego, tenuto conto del fatto che taluni incarichi retribuiti sono caratterizzati da una particolare intensità di impegno; e) specificità attinenti alla posizione del dipendente richiedente l’autorizzazione medesima (incarichi già autorizzati in precedenza, assenza di procedimenti disciplinari a suo carico o note di demerito in relazione all’insufficiente livello di rendimento); f) corrispondenza fra il livello di professionalità posseduto dal dipendente e la natura dell’incarico esterno a lui affidato8. L’esercizio di attività ulteriori, seppur compatibili, in difetto della prescritta autorizzazione integra violazione di legge con conseguente decadenza all’impego e risoluzione del contratto di lavoro. Libere professioni e dipendenti in regime di part time. Il divieto generale di svolgere, in costanza di rapporto di pubblico impiego, attività ulteriori rispetto a quella istituzionale risulta attenuato in due ipotesi legislativamente previste: la prima riguarda il personale in regime di part time con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento (art. 53, comma 6, d.lgs. 165, cit.), la seconda le categorie di personale, e fra queste i docenti, ammesse, in presenza di specifiche condizioni di legge, allo svolgimento di libere professioni9. Partendo da quest’ultima ipotesi, il riferimento è all’art. 508, comma 15, d.lgs. 297/1994, che consente al personale docente l’esercizio della libera professione purché non sia di pregiudizio alla funzione docente (comprensiva di tutte le attività ad essa riferite), sia pienamente compatibile con l’orario di insegnamento e di servizio e sia esplicata previa autorizzazione del dirigente scolastico. Con particolare riferimento all’esercizio dell’attività forense vanno richiamate le disposizioni della L. n. 247/2012. L’art. 19 stabilisce che l’esercizio della professione di avvocato è compatibile con l’insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nelle università, nelle scuole secondarie pubbliche e private parificate, nelle istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione pubblici. Tale prescrizione va letta nel senso che, sussistendone i requisiti, l’incompatibilità è esclusa anche per i docenti della scuola primaria; “costoro, infatti, godono della medesima libertà di insegnamento stabilita per gli altri docenti e devono essere in possesso della laurea, sicché la loro esclusione dall’eccezione prevista dalla legge si risolverebbe in una discriminazione in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza”10. Le condizioni entro cui è consentito al personale docente l’esercizio della professione forense sono richiamate dall’art. 1 comma 56 bis, L. n. 662/96: 1. autorizzazione del dirigente scolastico che deve valutare l’eventuale pregiudizio che l’esercizio della professione può arrecare all’assolvimento delle attività inerenti la funzione docente; 2. divieto di assumere il patrocinio legale in controversie nelle quali sia parte l’amministrazione; 3. divieto di assumere incarichi professionali che siano conferiti dall’amministrazione11 . Al di là delle categorie normative ciò che conta sono le risultanze dell’esame condotto sulla scorta delle specificità del caso concreto. Questo compito è affidato al datore di lavoro, nella specie al dirigente scolastico, a cui il dipendente chieda l’autorizzazione a svolgere l’attività libero professionale in aggiunta ai compiti istituzionali. Tale richiesta attiva un controllo avente ad oggetto la compatibilità in concreto dell’attività svolta con possibilità di limitarne l’esercizio proprio al fine di evitare l’insorgere di un conflitto di interessi con lo svolgimento dell’attività di insegnamento12. Con riferimento ai dipendenti in regime di part time fino al 50%, il sesto comma dell’art. 53, cit. esclude tale categoria di personale dall’obbligo di richiedere una preventiva autorizzazione allo svolgimento di incarichi ulteriori, ivi comprese le libere professioni. Tale disposizione non può essere letta isolatamente ma va coordinata con tutta un’altra serie di prescrizioni, normative e contrattuali, che impongono al dirigente anche per il personale in part time fino al 50% di vigilare sull’attività svolta in via ulteriore al fine di verificare che: a) tale attività non comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio del dipendente, pregiudicando l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente; b) l'interessato abbia tempestivamente comunicato all'Amministrazione di appartenenza il tipo di attività privata che intende svolgere (il che agevola il controllo in merito al conflitto di interessi). In questo senso il CCNL comparto scuola sottoscritto in data 19 aprile 2018 obbliga il dipendente in part time che abbia intrapreso un’altra attività lavorativa e/o professionale a comunicarlo entro 15 giorni al dirigente scolastico a cui è attribuito il dovere di vigilanza e controllo (art. 56). Accanto alle norme contrattuali, la legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, detta disposizioni specifiche in materia di cumulo di impieghi con specifico riferimento al personale in part time (art. 1, commi 56 e ss.). Al fine di evitare l’insorgere di situazioni di conflitto di interesse le disposizioni di cui alla legge del 1996 assoggettano i lavoratori in part time agli stessi controlli previsti per il personale a tempo pieno al fine di accertare che l’attività ulteriore non comporti, grave pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa dagli stessi ricoperta. In caso di inottemperanza alle suddette prescrizioni il dirigente scolastico, in qualità di datore di lavoro, laddove ravvisi la sussistenza di un conflitto di interessi tra l’attività svolta dal dipendente, ancorché in part time, e le funzioni istituzionali ad esso intestate, è tenuto a diffidare il lavoratore dal cessare, entro 15 giorni, l’attività ulteriore a pena di decadenza dall’impiego pubblico. Allo stesso modo, allorquando la comunicazione del lavoratore abbia ad oggetto la richiesta di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a parziale, l’accoglimento della richiesta medesima è subordinato alla verifica circa la compatibilità dell’attività che si intende svolgere in via ulteriore rispetto a quella istituzionale. In ogni caso il cumulo di impieghi non è mai consentito, nemmeno a seguito di trasformazione da regime di tempo pieno a part time, nei casi in cui l’attività ulteriore sia prestata in favore di un'altra amministrazione pubblica. Resta ferma la possibilità per il dirigente scolastico di reperire personale esterno alla propria amministrazione scolastica da adibire temporaneamente allo svolgimento di particolari attività ed insegnamenti altamente qualificati destinati all’ampliamento dell’offerta formativa. La fattispecie è disciplinata dall’art. 7, commi 6 e 6 bis, d.lgs. 165/2001, come modificato dall’art. 5, d.lgs. n. 75/2017 ed è subordinata alla sussistenza di condizioni precise. Fra queste, l’avvenuto accertamento circa l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno dell’amministrazione. Incompatibilità - Cumulo di impieghi pubblici - Differimento della presa di servizio - Aspettativa per motivi di lavoro. Ai fini della valida costituzione del rapporto di impiego, il personale precedentemente individuato per la stipula del contratto di lavoro, a tempo determinato o indeterminato, dall’Ufficio competente, deve risultare svincolato da ulteriori rapporti di lavoro. A tal fine è tenuto a dichiarare sotto la sua responsabilità di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato e di non trovarsi in nessuna delle situazioni di incompatibilità previste dalla legge ovvero, in caso contrario, a presentare dichiarazione di opzione per il nuovo rapporto di lavoro. Bisogna però distinguere l’ipotesi in cui al momento della sottoscrizione del contratto il soggetto abbia già un’attività lavorativa in corso da quella in cui l’incompatibilità sorga in costanza di rapporto di impiego pubblico. Nel primo caso l’ipotesi è quella del cumulo di impieghi pubblici, generalmente vietato dall’ordinamento (art. 65, comma 3, d.P.R. 3/1957) e comportante l’adozione, da parte del dirigente scolastico di un provvedimento meramente dichiarativo di cessazione dall’impiego precedente. Tale atto si configura come “dovuto” e costituisce presupposto ai fini della regolare costituzione del nuovo rapporto di lavoro. Diverso è il caso dell’ulteriore attività lavorativa svolta dal pubblico dipendente in costanza di rapporto di impiego fuori dall’orario di servizio. Opera, in questo caso, il descritto regime delle incompatibilità di legge rispetto all’esercizio di attività commerciale, industriale o professionale, all’accettazione di incarichi alle dipendenze di enti privati ovvero all’assunzione di cariche in società costituite a scopo di lucro. Il dirigente che ravvisi la predetta violazione è tenuto a diffidare il dipendente a cessare dalla situazione di incompatibilità optando, entro il termine di 15 giorni, per una delle attività svolte (art. 508, comma 14, d.lgs. 297/1994). Fermo restando che l’ottemperanza alla diffida non esclude l’azione disciplinare, il dipendente che non ottemperi va incontro alla risoluzione del rapporto di lavoro per incompatibilità ovvero, a seconda della gravità della condotta posta in essere al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro, al licenziamento disciplinare per falsità dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro (art. 55 quater lett. d, d.lgs. 165/2001). Il discrimen fra le due ipotesi si coglie, dunque, con riferimento al momento in cui sorge l’illegittimità: nel primo caso, è impedita la stessa costituzione del rapporto di pubblico impiego, nel secondo la sua valida prosecuzione con effetti decadenziali o disciplinari a carico del dipendente, oltre che sul piano della responsabilità patrimoniale per danno erariale (ravvisato, come visto, dal giudice contabile sia nel fatto che è stata percepita una retribuzione non dovuta per svolgimento di attività incompatibile, sia nel disservizio causato rispetto all’attività principale). Alla luce della predetta distinzione si evince che il momento della verifica della compatibilità ai sensi dell’art. 60, d.P.R. 3/57 e dell’art. 508, d.lgs. 297/94 è quello dell’assunzione, cioè della stipula del contratto di lavoro. È infatti, con l’acquisizione dello status di pubblico dipendente, ovverosia con la sottoscrizione del contratto, che sorge il vincolo di esclusività a tutela del buon andamento dell’amministrazione (art. 98 Cost.). In tale momento non devono sussistere situazioni ostative la sottoscrizione del contratto di assunzione e, fra queste, l’esistenza di precedenti rapporti di impiego, siano essi di natura pubblica o privata. Sulla scorta del predetto ragionamento non è legittimo l’accoglimento da parte del dirigente scolastico di richieste di differimento della presa di servizio finalizzate alla prosecuzione di altra attività lavorativa. Allo stesso non possono essere accolte richieste di aspettativa che trovino la propria giustificazione nella sussistenza di un precedente rapporto di impiego. Questa precisazione è importante perché si ricollega all’applicazione di un istituto contrattuale che, per come è concepito, è suscettibile di interferire con il regime delle incompatibilità di legge. Si tratta dell’aspettativa per motivi di lavoro in cui, per un anno scolastico e senza assegni, può essere collocato, a domanda, il dipendente che voglia realizzare l’esperienza di una diversa attività lavorativa o per superare un periodo di prova (art. 18, comma 3, CCNL comparto scuola del 16/11/2007). La ratio di una simile previsione è duplice: in primo luogo si vuole andare incontro alle esigenze del dipendente offrendogli la possibilità di “testare” una nuova attività lavorativa – cui eventualmente dedicare la propria vita professionale – mantenendo la sicurezza del proprio posto di lavoro nelle more della scelta. In via mediata, si può individuare anche un vantaggio per l’amministrazione che beneficia dell’arricchimento professionale del proprio dipendente. Ecco perché, alla luce di tali canoni interpretativi, il giudice contabile in sede di controllo di legittimità sugli atti amministrativi ha chiarito che l’aspettativa in parola presuppone, ai fini della sua valida concessione, l’esercizio di un’attività lavorativa nuova, ontologicamente difforme da quella svolta in via principale13. L’aspettativa per motivi di lavoro può essere concessa, dunque, solo nell’ambito di un rapporto di impiego già validamente costituito. In questo caso l’operatività dell’istituto sospende il regime delle incompatibilità secondo quanto previsto dall’art. 18, comma 2, della legge 4 novembre 2010, n. 183. Diversamente, l’aspettativa in parola non può essere concessa se, al momento della sottoscrizione del contratto di assunzione, risulta essere in atto un altro rapporto di lavoro operando, in tal caso, il divieto di cui agli artt. 60 e ss., d.P.R. 3/1957 e la conseguenza della decadenza dal precedente rapporto di impiego dichiarata dal Dirigente scolastico14. Analogo ragionamento va fatto con riferimento all’istituto del differimento della presa di servizio che, in presenza di un giustificato motivo (es. assenza per malattia che deve essere certificata), impedisce la decadenza dalla nomina in ruolo ed ha altresì l’effetto di traslare al momento dell’effettiva costituzione del rapporto di lavoro la decorrenza degli effetti economici derivante dalla nomina stessa (artt. 436, co. 4, e 560, d.lgs 297/94). La giurisprudenza contabile ha chiarito che l’applicazione di tale istituto non può mai servire a regolarizzare rapporti di lavoro in corso al momento dell’assunzione operando, in questo caso, il divieto di cumulo di cui si è detto. Diversamente opinando, l’istituto diverrebbe strumento per aggirare il regime delle incompatibilità di legge con conseguente invalidità del successivo contratto di assunzione15. In altri termini, lo strumento per superare la situazione di incompatibilità dovuta alla sussistenza di un precedente rapporto di impiego al momento dell’assunzione non può essere rappresentato né dall’istituto dell’aspettativa né da quello del differimento della presa di servizio quanto piuttosto dall’atto di diffida del dirigente destinato a far cessare, a pena di decadenza, la situazione di incompatibilità. IL DIRETTORE GENERALE 1 Corte dei Conti, sez. II, 02/08/2010, n. 299. Nel caso di specie la Procura Regionale ha chiamato in giudizio il dirigente scolastico contestandogli il danno erariale conseguente alla indebita percezione di compensi per un'attività di amministratore di condomini non autorizzata dall'Amministrazione di appartenenza. Costituisce pertanto danno la mancata acquisizione da parte dell'Amministrazione - in applicazione dell'art. 58 del d.lgs. n. 93 del 1993 (confermato nei contenuti dal decreto legislativo n. 165/2001, art. 53) - dell'importo corrispondente ai compensi percepiti dal dirigente per questa sua non autorizzata attività. In senso conforme, Corte dei Conti, sez giurisd., 08/09/2014, n. 159. 2 Dipartimento della Funzione pubblica, circolare n. 6 del 18 luglio 1997. 3 TAR Lecce, sez. II, 01/02/2017, n. 187. 4 Sul punto si v. TAR Venezia, sez. I, 26/01/1999, n. 35 e Cons. St., sez. VI, 11/07/1994, n. 1160 in base a cui “deve ritenersi compatibile con la posizione di insegnante di ruolo la carica di componente del consiglio di amministrazione o di presidente di una cassa rurale ed artigiana”. 5 La questione è stata sollevata con particolare riferimento al caso della partecipazione a cooperative del settore bancario (casse rurali) in cui è diffusa la partecipazione di dipendenti pubblici non solo in qualità di semplici soci. Ciò non esime il dipendente, secondo quanto chiarito dal Dipartimento della funzione pubblica, dal richiedere la preventiva autorizzazione che sarà rilasciata secondo gli usuali criteri della quantità dell’impegno e delle modalità concrete di svolgimento tenuto altresì conto delle specifiche funzioni svolte dal dipendente e delle competenze dell’amministrazione. Cons. St. VI sez. 24/10/1991 n. 705 ha riconosciuto l’incompatibilità con la posizione di docente di scuola secondaria in rapporto di dipendenza dalla pubblica amministrazione la carica di consigliere di amministrazione di una cassa rurale ed artigiana, ravvisato che istituzionalmente tale ente perseguiva, seppure non in forma esclusiva, il fine di lucro. 6 Cons. St. VI sez. 24/09/1993, n. 629 ha ritenuto legittima la decadenza dall’impiego, una volta dichiarata dal Provveditore agli studi, incompatibile con la posizione di pubblico impiegato ai sensi dell’art. 60 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, l'esercizio di attività artigianale, implicante struttura imprenditoriale prestata con carattere di continuità e professionalità e fini di lucro. 7 Mentre la prima conseguenza opera su un piano oggettivo e prescinde da valutazioni sulla gravità dell'inadempimento, la seconda è assoggettata ai principi propri della responsabilità disciplinare che, per giurisprudenza consolidata, presuppone sempre un giudizio di proporzionalità fra fatto contestato e sanzione, da esprimere tenendo conto di tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi della condotta (ex multis, Cass. civ., sez. lav., 4/04/2017, n. 8722). 8 Si v. sul punto Corte Conti reg. sez. giurisd. 25/11/2014, n. 216. 9 La libera professione è un’attività svolta in maniera autonoma, a livello professionale, normalmente per più committenti. L’attività in parola deve essere riconducibile alla regolazione giuridica della “professione intellettuale” di cui agli artt. 2229 e seg. del Codice Civile che attribuiscono alla legge stabilire quali siano le professioni intellettuali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, previo iter formativo stabilito dalla legge e superamento di un esame di abilitazione. I compensi percepiti nell’ambito dell’attività libero-professionale devono essere dichiarati al fisco, sono soggetti a contributi previdenziali e all’I.V.A. I redditi derivanti dall’esercizio di attività libero professionali, debitamente autorizzate, sono esentati dalla disciplina dell’anagrafe delle prestazioni di cui all’art. 44 della Legge n. 412/1991. Il docente deve preventivamente richiedere al Capo di Istituto l’autorizzazione a svolgere la libera professione e questi deve emettere il provvedimento formale di autorizzazione 10 Cass., Sez. Unite, n. 22623/2010. 11 Sul tema della compatibilità tra attività di docenza e svolgimento della libera professione si richiama la nota dell’ufficio scolastico regionale prot. n. 1712 del 26/02/2019 pubblicata sul sito istituzionale. 12 Cass. civ. sez. lavoro 17/10/2018 n. 26016. Nel caso di specie il Giudice del lavoro, pur riconoscendo in astratto la facoltà del personale docente di svolgere l’attività forense, non solo ne ha subordinato l’esercizio alla preventiva richiesta di autorizzazione a dirigente scolastico ma ne ha condizionato l’esercizio al fatto di non patrocinare in controversie contro l’amministrazione scolastica. Per la Corte dalla lettura dell’art. 1 del Codice deontologico forense e dalle norme in esso richiamate si desume che il legislatore abbia inteso conservare in capo alle amministrazioni di appartenenza un margine di discrezionalità nella valutazione della possibile interferenza tra l’attività professionale e lo status di pubblico dipendente. 13 In questo senso si è espressa Corte dei Conti sez. regionale di controllo per il Piemonte del 18/01/2016, delibera n. 3/2016 con cui il giudice contabile ha ricusato il visto e la conseguente registrazione del provvedimento di un dirigente scolastico avente ad oggetto la concessione, a favore di una docente di scuola primaria, dell’aspettativa ex art. 18 CCNL per svolgere attività di docente di scuola materna presso una società cooperativa. 14 Ex multis, si v. Corte dei Conti sez. regionale di controllo per il Piemonte del 27 febbraio 2015. 15 Corte dei Conti sez. reg. di controllo per il Piemonte delib. n. 149 del 14 settembre 2017 ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ |
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Ultimo aggiornamento (Lunedì 05 Settembre 2022 10:43)